La protesi anatomica consiste nella sostituzione dell’articolazione con mezzi di sintesi che ricostruiscono l’anatomia della spalla: testa omerale (ha la forma di una porzione di sfera, di dimensioni simili a una pallina da golf) e glena scapolare (superficie concava, poco profonda e di dimensioni minori rispetto alla testa dell’omero).

L’impianto di una protesi anatomica risulta efficace nel momento in cui la cuffia dei rotatori risulti valida e sia in grado di mantenere centrate le componenti protesiche consentendo il corretto movimento

Quando è indicato un intervento di protesi anatomica

Le condizioni in cui si rende necessario l’impianto di una protesi anatomica sono diverse: artrosi, artrosi post-traumatica, necrosi avascolare, artrite reumatoide, fratture.

La più frequente è l’artrosi, una condizione cronica a carattere evolutivo che comporta una lesione progressiva della cartilagine che riveste le superfici articolari, con conseguente scomparsa dello spazio articolare fra omero e scapola, fino alla deformazione delle superfici articolari e la comparsa di escrescenze ossee dette osteofiti. A volte è un processo legato all’invecchiamento, altre condizionata da danni precedenti, come traumi severi o ripetute lussazioni di spalla, che predispongono quindi a un’alterazione della biomeccanica del cingolo scapolo-omerale.

Il processo artrosico è di tipo degenerativo: inizialmente si assiste a una diminuzione dei gligosamminoglicani (molecole che, legandosi a proteine specifiche, dette proteoglicani, conferiscono le particolari caratteristiche di ammortizzazione e quindi dispersione degli stress meccanici) e dell’acqua, determinando la frammentazione delle fibre collagene. In superficie, la cartilagine si sfalda fino a scomparire e mettere a nudo l’osso subcondrale (soprattutto nelle zone di sovraccarico). Normalmente la cartilagine è bianco azzurognola, umida ed elastica, mentre in un processo artrosico apparirà opaca, ruvida, asciutta e di consistenza più molle e meno elastica del normale.

L’osso reagisce con un’iperproduzione ossea, in particolare nelle zone di carico, dove appare addensato; nelle zone non sottoposte al carico, lungo il perimetro delle superfici articolari, i vasi sanguigni penetrano nella cartilagine dando luogo a neoproduzione osteocartilaginea, nel tentativo di compensarne la perdita: si ha così produzione di osteofiti marginali (cercini ossei a becco), che rimodellano i capi articolari, causandone una progressiva deformazione.

Il parametro che orienta il chirurgo all’impianto di una protesi anatomica è un grado di artrosi elevata, che non ha trovato giovamento dal trattamento riabilitativo o che non è compatibile fin da subito con questo tipo di approccio conservativo.

Sintomi dell’artrosi

Il quadro clinico dell’artrosi è caratterizzato essenzialmente da due sintomi: dolore e progressiva diminuzione dei movimenti articolari.

Il dolore ha un’evoluzione graduale e ingravescente, è profondo e generalizzato, insorge all’inizio del movimento, migliora con il riposo, ma nelle fasi avanzate è tale da impedire il sonno.

Dal punto di vista della mobilità, nelle fasi iniziali dell’artrosi il range passivo è conservato, mentre quello attivo risulta dolente; nelle fasi avanzate, sia il movimento passivo che quello attivo sono impossibili, con la presenza di crepitii e scrosci dovuti a irregolarità delle superfici articolari, il dolore non è tollerato.

Diagnosi dell’artrosi

La conferma del quadro sopra descritto è effettuata sulla base dei segni e sintomi clinici e sui reperti strumentali.

Le indagini strumentali utili sono:

  • esame radiografico (proiezione antero-posteriore reale): serve a valutare le strutture ossee, i rapporti, le superfici e gli spazi articolari, le calcificazioni dei tessuti molli;
  • risonanza magnetica: per valutare lo stato della cuffia dei rotatori;
  • TAC (soprattutto in fase pre-operatoria): per guidare il chirurgo nella scelta del tipo di impianto.

Riabilitazione post-chirurgica per protesi di spalla

In seguito all’impianto di protesi anatomica, il paziente dovrà indossare un tutore che posizionerà il braccio in abduzione e rotazione neutra, per circa 3/4 settimane; dopo le prime 48/72 ore si potrà iniziare a rimuove il tutore per svolgere attività leggere e per l’igiene personale, indossandolo invece durante le ore notturne (salvo diversa indicazione) e in tutte quelle attività dove è facile perdere il controllo dell’arto.

Sin da subito sarà possibile per il paziente, su indicazione del terapista, eseguire dei movimenti di reclutamento scapolo-toracico, anche indossando lo stesso tutore, oltre che movimenti di estensione e flessione di gomito.

Terapia riabilitativa della spalla

La terapia riabilitativa, intrapresa dopo l’iniziale periodo di immobilità in tutore, è un processo di graduale recupero della mobilità e della forza della spalla, con l’obiettivo di recuperarne la funzionalità il più rapidamente possibile. Infatti, nelle prime 6 settimane dopo la rimozione del tutore, lo scopo è quello di recuperare l’articolarità completa passiva, senza dolore, e la funzionalità attiva nel range 0-90°; in questa finestra di trattamento il fisioterapista dovrà bilanciare il lavoro di progressivo reclutamento muscolare e quello di graduale allungamento, nel rispetto dei tempi biologici di guarigione (uno dei gesti chirurgici effettuati è quello della tenotomia del sottoscapolare, cioè della sua incisione a 1cm dall’inserzione ossea e della successiva riparazione, motivo quest’ultimo che deve guidare verso la cautela nei movimenti di rotazione interna).

Miglioramento del dolore

La progressione del trattamento riabilitativo nella seconda fase dovrà mirare all’attivazione sempre maggiore dei muscoli della cuffia dei rotatori e all’aumento del range attivo di movimento.

La riduzione del dolore e il miglioramento della funzionalità dell’arto dopo impianto protesico sono obiettivi raggiungibili in oltre il 90% dei casi.

Il ritorno all’attività lavorativa verrà concordato con il chirurgo, in base alla tipologia di mansione svolta: la protesi non è adatta all’esecuzione di lavori pesanti, per questo motivo sarà utile riadattare i gesti specifici per evitare l’usura precoce dell’impianto protesico.

A eccezione dei casi traumatici, in tutte le patologie croniche, dove l’intervento può essere programmato con largo anticipo, si consiglia un programma riabilitativo di tipo preventivo, in modo da giungere al giorno dell’intervento nelle migliori condizioni possibili. Un programma di esercizi di mobilità e potenziamento, ad arco doloroso escluso, associati, ove possibile, a cicli di idrokinesiterapia, rappresentano un valido supporto in attesa dell’intervento.

 

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