Protesi inversa di spalla: tutto quello che devi sapere

Protesi inversa di spalla: tutto quello che devi sapere

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In caso di traumi importanti, artrosi e lesione dei muscoli della spalla può essere indicato l’intervento di protesi inversa, ma di cosa si tratta? Perché viene definita con il termine “inversa”?

Una protesi inversa è un impianto protesico in cui la normale anatomia della spalla è invertita. 

In anatomia la spalla è formata da:

  • la glena, superficie concava
  • la testa dell’omero, convessa 

La struttura scheletrica costituisce il “fulcro della spalla”, struttura passiva che si muove grazie ai muscoli della cuffia dei rotatori, il “motore” della spalla.

In una protesi inversa la glena viene sostituita da una glenosfera (di forma convessa) e la testa dell’omero viene sostituita da una concavità posizionata sulla componente omerale. 

Il motore della protesi inversa non sarà più la cuffia dei rotatori ma sarà il muscolo deltoide.

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In quali casi è necessario impiantare una protesi inversa? 

La protesi inversa è un impianto che viene scelto quando altri tipi di chirurgie più vicine all’anatomia della spalla non sono indicate alla risoluzione del problema del paziente o sono risultate fallimentari. Tendenzialmente i casi in cui si impianta un’inversa possono essere riassunti in tre: 

  • la cuffia dei rotatori è massivamente lesionata, in questo caso viene meno il motore della spalla e, pur avendo un buon fulcro, il paziente non riuscirebbe a muovere il braccio 
  • il fulcro (componente scheletrica della spalla) è così compromesso da non permettere al motore di muovere la spalla, per esempio per artrosi importante
  • sia il fulcro che il motore della spalla sono compromessi.

Quando è indicato un intervento di protesi inversa?

La protesi inversa è spesso indicata in pazienti con:

  • Artrosi gleno-omerale associata a lesione della cuffia dei rotatori
  • Fratture di omero associate a rottura di uno o più tendini della cuffia dei rotatori
  • In caso di revisione di una protesi anatomica
  • Come ultima indicazione, dopo il tentativo fallimentare di trattamento conservativo

Diagnosi pre-chirurgica

Per verificare se il paziente dovrà impiantare una protesi inversa, l’equipe medica deve condurre una serie di verifiche cliniche e una serie di indagini diagnostiche.

  • L’esame clinico valuta il grado di dolore e di impotenza funzionale
  • L’esame radiografico è l’esame standard da cui partire per cominciare a inquadrare il paziente e per verificare il corretto posizionamento della testa dell’omero nella glena. Inoltre tramite l’rx possiamo valutare la presenza di artrosi o fratture.
  • La risonanza magnetica può confermare o meno il grado di compromissione della cuffia dei rotatori
  • La TAC per tutte le indicazioni chirurgiche

Protesi inversa e procedura chirurgica

In sede operatoria il chirurgo inizia l’intervento con un’incisione anteriore sul solco deltoideo-pettorale. Passando tra il muscolo deltoide e il pettorale si raggiunge l’articolazione e si procede asportando la testa omerale e cruentando la glena. Si impiantano la glenosfera per sostituire la glena e la superficie concava al posto della testa dell’omero e si chiude la ferita.

Riabilitazione della protesi inversa

La riabilitazione di un paziente con protesi inversa prevede il susseguirsi di diverse fasi.

  1. La prima fase comprende le prime 3/4 settimane dopo l’intervento, periodo durante il quale il paziente deve indossare un tutore. Già dopo le prime 48/72 ore dall’intervento, il paziente potrà iniziare a rimuovere il tutore per svolgere attività per l’igiene personale e mobilizzare cautamente gomito e mano. Queste settimane rappresentano un momento molto delicato per la stabilità dell’impianto, è necessario seguire alla lettera le indicazioni per permettere la riparazione dei tessuti secondo i tempi istologici ed evitare lussazioni della protesi.

Conclusa la prima fase il paziente dovrà iniziare un percorso riabilitativo personalizzato, è fondamentale affidarsi a specialisti della riabilitazione di spalla.

  1. Seconda fase da 6 a 12 settimane dall’intervento. L’obiettivo è aumentare progressivamente il ROM articolare tramite mobilizzazioni passive o attive-assistite, sempre sotto alla soglia del dolore. Al miglioramento del range articolare segue un buon recupero muscolare degli stabilizzatori della gleno-omerale e della scapola-toracica. 
  2. Terza fase da 12 a 14 settimane dall’intervento. In questa fase si mira ad aumentare fino ai gradi massimi raggiungibili l’articolarità della spalla e migliorare la funzione neuromuscolare, tramite un incremento dei parametri della forza, della resistenza, della potenza e della stabilità dinamica. 

Il percorso riabilitativo può essere affiancato dall’idrokinesiterapia. Si tratta di un approccio fisioterapico che sfrutta le proprietà fisiche dell’acqua come: la spinta idrostatica, la viscosità e la temperatura (tra i 32 e 34 gradi).

La fisioterapia in acqua può essere un buon approccio terapeutico post-operatorio per il nostro paziente con instabilità di spalla. L’acqua facilita i movimenti, riducendo il carico gravitazionale dell’arto, aumentando il ROM articolare e stimolando la componente muscolare a un miglior recupero senza sovraccarichi.

4. L’ultima fase è quella del recupero funzionale. Il paziente è ormai tornato a condurre una vita normale ma è fondamentale stabilizzare i risultati tramite un percorso di fisiopalestra in cui un personal trainer specializzato lo affianca con un programma personalizzato di rinforzo globale e riatletizzazione. A fine di questa fase il paziente è pronto anche a tornare in campo, qualora fosse un suo obiettivo.

Testo di Elisa Piccioni

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